No, non capisco. Ma faccio un cenno di assenso silenzioso con la testa. Mi sento dissolto, sono infinitamente piccolo, sono un punto…
In fin dei conti, questa condizione puntiforme ha una sua logica (quella d’oggi): in un punto si concentra il maggior numero di incognite; basta che esso si sposti, si muova, per potersi trasformare in migliaia di curve diverse, in centinaia di corpi.
Ho il terrore di muovermi: in che cosa mi trasformerò? E ho l’impressione che tutti, come me, temano anche il minimo movimento. Ecco, in questo momento, mentre scrivo, tutti siedono, rinserrati nelle loro celle di vetro, in attesa di qualcosa. In corridoio non si sente il ronzio dell’ascensore, consueto a quest’ora, non si sentono risate, passi. Talvolta vedo gente che, a gruppi di due, guardandosi intorno, percorre il corridoio in punta di piedi, bisbiglia…
Cosa succederà domani? In che cosa mi trasformerò domani?
Zamjatin, E. – “Noi”
(Mondadori Libri S.p.A., 2018, pag. 141)