Régis Debray – “Vita e morte dell’immagine”

  • di Vanina Sartorio

Una volta visti, i film fluttuano in noi a lungo come arie musicali. Senza conoscerli a memoria, riconosciamo subito la melodia, e la totalità di un film abita ciascuno dei suoi piani. I momenti di attualità televisiva che rimangono in noi scintillano come un caleidoscopio, un mosaico senza forma, una cronaca senza cronologia, delle briciole prive di autore. La TV dà l’ora, non l’anno. Questa fuggevolezza spiega la sua angoscia di fedeltà, la sua ossesione nel “appuntamento regolare” con il telespettatore. Ha bisogno di contrassegnare il tempo perchè lo banalizza. (…)

Pensare significa dire no. Volente o nolente, la TV dice al mondo così com’é; il cinema dice sì, ma; la pittura diceva fino a Manet. Da allora, e ciò costituisce ancora la sua forza particolare, essa dice piuttosto no.

 

Régis Debray – “Vita e morte dell’immagine. Una storia dello sguardo in Occidente”

(1999, Editrice Il Castoro, pagg. 260-261)

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