Il magistrato si era intanto alzato ad accogliere il suo vecchio professore. “Con quale piacere la rivedo dopo tanti anni!”.
“Tanti: e mi pesano” convenne il professore.
“Ma che dice? Lei non è mutato per nulla, nell’aspetto”.
“Lei sì” disse il professore con la solita franchezza.
“Questo maledetto lavoro… Ma perchè mi dà del lei?”.
“Come allora” disse il professore.
“Ma ormai…”.
“No”.
“Ma si ricorda di me?”.
“Certo che mi ricordo”.
“Posso permettermi di farle una domanda?… Poi gliene farò altre, di altra natura… Nei componimenti di italiano lei mi assegnava sempre un tre, perchè copiavo. Ma una volta mi ha dato un cinque: perchè?”.
“Perchè aveva copiato da un autore più intelligente”.
Il magistrato scoppiò a ridere. “L’italiano: ero piuttosto debole in italiano. Ma, come vede, non è poi stato un grande guaio: sono qui, Procuratore della Repubblica…”.
“L’italiano non è l’italiano: è il ragionare” disse il professore. “Con meno italiano, lei forse sarebbe ancora più in alto”.
La battuta era feroce. Il magistrato impallidì. E passò a un duro interrogatorio.
Leonardo Sciascia – “Una storia semplice”
(1989, Adelphi, pagg. 43-44)