“La ringhiera in ferro della finestra incornicia un paesaggio suddiviso in riquadri orizzontali. Non sono tutti uguali: in alcuni prevalgono i rami dell’albero, negli altri il verde del prato.
Mi incanto a guardarli e a scegliere quale preferisco. Mi fa antipatia quello che inquadra più verde che rami, perché vorrebbe essere tutto prato, e invece è attraversato dalle linee piccole e insignificanti dei legnetti che disturbano l’omogeneità del colore di fondo. L’osservazione mi distrae da un dolore senza nome di cui ancora non ho individuato l’origine. Guardo il parapetto cercando di distrarre l’attenzione da quello che veramente mi importa, perché con la coda dell’occhio colgo più facilmente gli scatti dell’anima.
Il pianto non ha motivo di esserci ma non chiede il permesso per arrivare, inizia a svuotare il corpo dalla tensione e lo riporta ad una carica neutrale accettabile. In cerca di uno sfogo più ampio vado a passeggio tra i disagi recenti, per recuperare una leva che apra del tutto la diga quando, nel secondo riquadro del parapetto, spunta un pettirosso, ben presente a sé stesso prima che a me: per incorniciarsi ha scelto il rettangolo fitto di rami bitorzoluti e lo ha trasformato in un acquarello giapponese.”