L’operaio non poteva più far fronte; la Rivoluzione non aveva fatto che aggravare la situazione; dall’Ottantanove era la borghesia che s’impinguava, con un’ingordigia che al lavoratore non lasciava neanche i piatti da leccare. Della ricchezza e dell’agio che negli ultimi cent’anni s’erano straordinariamente accresciuti, chi poteva dire che la classe operaia avesse anche in minima parte beneficiato? Li avevano dichiarati liberi, i lavoratori; e con ciò s’eran lavati le mani di loro; liberi di che? Di crepar di fame; oh per questo, quanto volevano! Non era il diritto di votare dei bei tipi che, una volta eletti, pensavano alla propria pancia e della povera gente si preoccupavano quanto della terza gamba, che faceva entrare pane nella madia! (…)
“Aumentare il salario, che forse si può? Una legge di ferro lo fissa allo stretto necessario; all’indispensabile, perché l’operaio possa mangiare pane e sputo e procreare dei figli. Se il salario scende sotto quel livello, l’operaio crepa; e la richiesta di nuovi operai lo fa risalire. Se supera quel livello, cresce l’offerta di manodopera e lo fa calare. È l’altalena delle pance vuote, la condanna a vita alla galera della fame.”
Emile Zola – “Germinale”
(1950, Arnoldo Mondadori Editore, parte III cap. I pagg. 152-153)