Milan Kundera – “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

  • di Roberto Li Causi

Soltanto nel 1980 abbiamo potuto sapere dal ‘Sunday Times’ come morì il figlio di Stalin, Jakov. Catturato dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, fu internato in un campo di prigionia insieme ad un gruppo di ufficiali inglesi. Avevano in comune le latrine. Il figlio di Stalin le lasciava sempre sporche. Agli inglesi non piaceva vedere le loro latrine sporche di merda, anche se si trattava della merda del figlio dell’uomo più potente della terra. Glielo rimproverarono. Lui si offese. Glielo rimproverarono di nuovo più volte e lo obbligarono a pulirle. Lui si arrabbiò, iniziò una lite, venne alle mani. Alla fine chiese di essere ascoltato dal comandante del campo. Voleva che fosse lui a fare da arbitro. Ma l’arrogante tedesco si rifiutò di parlare di merda. Il figlio di Stalin non poté sopportare l’umiliazione. Urlando al cielo terribili ingiurie russe, si lanciò contro il filo spinato percorso dalla corrente elettrica che cingeva il campo di prigionia. Vi cadde sopra. Il suo corpo, che non avrebbe mai più sporcato le latrine degli inglesi, vi rimase appeso. (…)

L’avevano accusato di essere sporco. Lui che porta sulle spalle il dramma più sublime che si possa immaginare (era allo stesso tempo figlio di Dio e angelo caduto), deve forse adesso essere giudicato non per cose elevate (che abbiano a che fare con Dio e gli angeli) ma per della merda? Sono dunque così vertiginosamente vicini il dramma più eccelso e quello più infimo?

Vertiginosamente vicini? La vicinanza può dare la vertigine? (…)

Il figlio di Stalin ha dato la sua vita per della merda. Ma morire per della merda non vuol dire morire senza un senso. I tedeschi che sacrificarono la loro vita per estendere più a oriente i territori del Reich, i russi che morirono perché la potenza del loro paese arrivasse più a occidente, loro sì che morirono per qualcosa di stupido e la loro morte è priva di senso e di validità generale. La morte del figlio di Stalin, invece, fu, nella generale stupidità della guerra, la sola morte metafisica.

 

Milan Kundera – “L’insostenibile leggerezza dell’essere”

(1995, Adelphi- pag. 249)

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